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09 novembre 2008

Nel vuoto


La strada era vuota, ricordava il mio cuore; piena di manifesti strappati che lasciavano leggere solo alcune frasi qua e la, e spazzata da un vento caldo che portava il giro foglie e polvere.
Sentivo ancora nella mano il peso del silenzio, il peso di quel giocattolo con la bocca di fuoco.
Non riuscivo a scappare da nessuna parte; conoscono le tue paure e ti lasciano sempre un nome e un indirizzo dove confondere il dovere con la morte. Quel nome era scritto su un citofono, a penna, dove la pioggia lo aveva fatto "sbavare" e diventare nebbia. Inutile cambiarlo: nessuno oltre me avrebbe mai suonato a quel campanello.
Sopra, al primo piano di quel fatiscente palazzo che aveva visto giorni migliori, non mi attendeva nessun sorriso, nessun convenevole, solo domande precise che aspettano risposte fatte di monosillabi: risposte che si devono dare senza esitazioni, davanti ad occhi attenti al tuo sguardo e ad ogni piccolo silenzio inutile.
Non esistevano domande comuni alle quali potersi preparare davanti ad uno specchio, non c'erano certezze o soluzioni: il gioco era sempre difficile e lento, fatto di movimenti controllati e accorti, una partita a scacchi dove non ci sono regole scritte: solo convenzioni e taciti accordi che il tempo ha mutato in regole.
Mi aprì la porta la solita persona che altre volta aveva coperto le ultime ore di quei giorni concitati. Seduta su un lurido divano di pelle c’era una ragazza che non avevo mai vista e che alzando lo sguardo accennò a qualcosa che poteva sembrare un sorriso. Era così bella che stonava con tutto il resto. L’unica domanda che mi venne alla mente era perché fosse lì. Il televisore era acceso e lei era in attesa, come se dovesse parlare un oracolo.
L’uomo mi consegno un portafogli con dentro del danaro, una patente, un documento d’identità e alcuni altri inutili biglietti: era l’ultima speranza, l’ultimo spiraglio di luce.
….