Ero arrivato in orario. L'ora era quella giusta. Il minuto era quello giusto. Nei meccanismi tutto deve funzionare con precisione, come i tempi astronomici, senza errori. Questa era una delle prime cose che si dovevano imparare. Riconoscere i sintomi delle situazioni dalle situazioni. Giocare con i margini di tolleranza era una cose che mi inquietava; mi sentivo improvvisamente fuorigioco, senza ruolo. La mia incapacità di improvvisare a volte mi sconcertava, mi rendeva instabile. Sentire le mani sudare, era il segnale più evidente. Restare troppo fermi non era mai la cosa giusta.
Erano i primi sintomi di quella ingestibile paura di non avere più tempo.
Ma invece mi serviva tempo per capire dove finiva tutto ciò che facevo. Lo sapevo ma non lo raccontavo a nessun specchio.
Cinque minuti. Era passato troppo tempo e le mani avevano cambiato tasca, involontariamente.
Mi ero allontanato senza nemmeno accorgermene, con passo lesto; lo stesso passo che ha cominciato a segnare il mio tempo.
Scrivo geroglifici dentro piramidi telematiche, lasciando la stele di Rosetta sepolta sotto la paura.
1 commento:
Riletto diverse volte il tuo post.
Sempre più bello.
Un sorriso
R.
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