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28 agosto 2008

IPOTECHE


Quella era la notte. Non aveva contorni netti e definiti ma lasciava la stessa angoscia dentro e la stessa paura di non svegliarsi più.

C’era un orario da rispettare: entri e lui, candido e professionale rilegge per te il tuo tempo. Non lascia prove d’appello, sei il numero che doveva arrivare, sei un dolore che non gli è mai appartenuto; ti lascia in mano un pacco di fogli dove il nome è scritto in piccolo, dove non puoi più mettere dentro alcun futuro, nessuna speranza.

Quella era la notte, dove all’improvviso ti ci trovi dentro, senza tramonto ne alba.

Respirai tutta l’aria che potevo per provare a sputare poi fuori il cuore che invece rimase aggrappato alla mia rabbia.

Scendevi con me le scale, lontana da ogni sogno, sussurravi i sorrisi e mi guardavi con la diffidenza con la quale si guarda chi ti ha tradito.

Le cose non sempre dipendono da noi; nascono in noi, lasciano segni indelebili che gli altri non sanno riconoscere e che rifiutano di vedere come naturali e inconsciamente ti danno la colpa del tuo futuro abbandono.

Non voglio raccontare nulla, non serve a molto farsi capire. Le cose sono rimaste lì, a portata di mano, pronte per essere usate da ogni lingua. E’ stato come morire due volte.

2 commenti:

Beatrice Niccolai ha detto...

ci sono sempre.
Un abbraccio Roberto.

Beatrice

Anonimo ha detto...

E' stato come morire due volte.
Sorrido.
Forse riusciamo ad aver più vite dei gatti.
Sempre bello leggerti, Facciatosta.
Un sorriso.
R.