Le larve che soffiano in me
nel notturno quietar della vita,
scuotendo il mio incedere lento
dove sono festuca nell'aria,
fan mutare il verbo soave
in un trucido auspicio luttuoso.
I deserti rinvengono e tacciono
dove già si posava la luce
partorendo copiosi germogli
di sembianti parole d’amore.
Il sommesso rifugio dell’onda,
tra le orribili piaghe del tempo,
dove ho letto con flebile voce
l’ansimare di un caldo piacere.
Con flagelli rimordono il senno
che immorale ed anomalo batte
lui che brama un veemente colpire.
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