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07 maggio 2010

Viaggi nella notte


La strada era vuota, ricordava il mio cuore; piena di manifesti strappati che lasciavano leggere solo alcune frasi qua e la, spazzata da un vento caldo che portava il giro foglie e polvere.
Sentivo ancora nella mano il peso del silenzio, il peso di quel giocattolo con la bocca reboante.
Non riuscivo a scappare da nessuna parte; conoscono le tue paure e ti lasciano sempre un nome e un indirizzo dove confondere il dovere con la morte. Quel nome era scritto su un citofono, a penna, che la pioggia aveva fatto sbavare e diventare nebbia. Inutile cambiarlo: nessuno oltre me avrebbe mai suonato a quel campanello.
Sopra, al primo piano di quel fatiscente palazzo che aveva visto giorni migliori, non mi attendeva nessun sorriso, nessun convenevole, solo domande precise che aspettano risposte fatte di monosillabi: risposte che si devono dare senza esitazioni, davanti ad occhi attenti al tuo sguardo e ad ogni piccolo silenzio inutile.
Non esistevano domande comuni alle quali potersi preparare davanti ad uno specchio, non c'erano certezze o soluzioni: il gioco era sempre difficile e lento, fatto di movimenti controllati e accorti, una partita a scacchi dove non ci sono regole scritte: solo convenzioni e taciti accordi che il tempo ha mutato in leggi.
Mi aprì la porta la solita persona che altre volte aveva coperto le ultime ore di quei giorni concitati. Seduta su un lurido divano di pelle c’era una ragazza che non avevo mai visto e che alzando lo sguardo accennò a qualcosa che poteva sembrare un sorriso. Era così bella che stonava con tutto il resto. L’unica domanda che mi venne alla mente era perché fosse lì.
Il televisore era acceso e lei era in attesa, come se dovesse parlare con un oracolo.
L’uomo mi consegno un portafogli con dentro del danaro, una patente, un documento d’identità e alcuni altri inutili biglietti: era l’ultima speranza, l’ultimo spiraglio di luce.
La ragazza si alzò di colpo, mi venne vicino, pronunciò un nome, il suo, mi guardo fisso negli occhi mi consegno le chiavi di un’auto e mi disse di non dimenticare il suo viso. Presto l’avrei rivista.

Quando le cose cambiano non si sa mai se inizia qualcosa o se sta per finire.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il tuo racconto l'ho sentito vicino. Quando cambiano le cose non si sa mai se iniziano o finiscono...
E i cambiamenti mi spaventano, anche quando so che son belli.
Mi spaventano perchè sono movimento...Increspature di acqua...Dove mi porterà la nuova onda?
Questa notte lavoravo e mentre raggiungevo il Ps mi sentivo un pesciolino fuor d'acqua e ad ogni passo mi meravigliavo: ero nel mio stagno...

Tornerò a trovarti, spero ti faccia piacere.