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23 ottobre 2008

Collimazione emozionale ( non sublimata)


Aggregando le displasiche massificazioni,

conglobiamo le riconducibili dismorfie

e limitiamo sessioni asfittiche

anche se mai ellittiche.

Compresi in osmotiche compressioni,

flettiamo pragmatismi oculati,

in acetaboli svuotati,

posponendo assolute

vestibolazioni ,

che tu non trovi deprecabili.

Quali ragioni apporre

nella posposta notte

dei gargoil assonnati?

Enunciami

nelle tue presentabili scuse,

coincidendo con la presenza

erinnica.


(In memoria di Winnicott Winthrop, onanista convulsivo, coprofago benemerito dell'università del Minnesota e del Minnesopra. R.i.p.)

22 ottobre 2008

Nemmeno il tempo



Non hai chiesto permesso
e sei dentro a un nuovo giorno,
tra un pensiero e una promessa,
coi tuoi occhi prepotenti che mi guardano dentro.
Nemmeno il tempo per piangere
e son volato via con te.
Forse i silenzi non mi bastavano più
e le tue parole sono la verità.
Nemmeno il tempo per pensare a ieri
e mi hai regalato il tuo nome.
Forse le notti sono troppo brevi
e confondono le ombre.
Nemmeno il tempo per dimenticare
e sei accanto a me.

21 ottobre 2008

L'ultima voce della notte


Dove porterò tutta la mia tristezza
quando sarà sbiadito il ricordo?
Troppe immagini peseranno sui tuoi occhi
per lasciare di me qualche colore,
troppi suoni urleranno dentro alle tue orecchie
per riconoscere la mia voce che ti chiama.
Ma non andrai mai più via
perché nessuno va via dal cuore.
Scriverò sui muri le mie poesie,
dove tu sei ancora lì che mi sorridi
e mi chiedi un'altra vita,
un altro sogno.
Forse mi basterà morire.

17 ottobre 2008

I domani venduti


Non ho il tempo per amare il vuoto;


ho solo bisogno di muovere le prospettive del mio silenzio.

Sussurravi i sorrisi e li scambiavo per abitudine,

morivi tra i miei pensieri

e non mi sono accorto che potevo dargli un nome,

uno qualunque,

un nome che assomigliasse ad amore.

Ma non ho più tempo per girarmi indietro

e sperare di vederti arrivare con un bacio

nascosto sulle labbra.

Non occorre mai troppo tempo per amare ;

esistono i domani che tu puoi solo inventare

ma che hai venduto al dolore.

16 ottobre 2008

Il libro dei nomi

Non devo più raccontarti nulla di me.
Sai tutto quello che devi.
E' che sono così pieno di vuoto quando non ci sei.
Non saprei dirti nemmeno chi sono;
nessun specchio riflette più la verità
e ogni giorno sarei pronto per partire.
Eppure i segni del passato li conosco,
li ho dentro al libro dei nomi, dove dorme la gioia,
dove la dedica è scritta con l'ultimo sguardo.
Non abbiamo avuto nemmeno un posto per piangere.
C'era il sole, una stazione e un nome da chiamare
ma hai scelto ancora tu.
Sono quello sbagliato,
impossibile,
da dimenticare in un fine settimana qualunque,
tra le candele di un compleanno.

14 ottobre 2008

Nessun nome


Lasciano il segno,
tagliano il viso,
sono lacrime di ghiaccio
che non hanno il coraggio di scendere.
Non ho più nessun nome se tu non mi chiami.
Il silenzio che taglia
lascia il segno,
tra un un secondo e una vita.
So inventare i tuoi domani.
Fuggi da te,
da un amore che fa troppa paura
ma che non muore mai.
Cento gocce di passione
sono il gusto del veleno,
puro e nero come la notte che avvolge
una nuova vita.
Freme,
suona la catena
che mi chiude dentro
la solita musica vuota.

12 ottobre 2008

PASSATEMPI

Le incontri,

le conosci,

ti regalano emozioni e pensieri nuovi

e credi sia la realtà.

Le persone che giocano.

Hanno bisogno di te,

dei tuoi rimproveri,

delle tue certezze,

dei tuoi errori ,

del tuo corpo,

delle tue idee,

della tua straordinarietà,

del tuo modo speciale di essere.

Poi l'abitudine.

Poi il deja vu.

Poi l'aver conosciuto.

Poi tutto

diventa cosa comune,

ordinaria, banale e conosciuta.

Le persone che usano le parole,

per usare te.

La noia che affligge chi gioca

e non si appassiona.

Passatempo.

Parcheggiami qui,

pago io.

Grazie del tuo sorriso.

Raccontami ancora

le tue bugie,

ho voglia di sentire la tua voce,

raccontami di te.

Straordinariamente inutile.

Cercavo solo un posto sicuro

dove ridere di me.

Parcheggiami dove ti pare.

Pago io.

10 ottobre 2008

Spalle al muro

Appoggiato al muro aspettavo la sera, laggiù, in quel vicolo che conduce al mare. Sono rimasto con i pensieri e la schiena attaccati a quel vecchio muro di pietra cercando di capire tutto quello che mi avevi detto. Potevo solo tacere, leggere tra le pieghe della tua bocca che vomitava l'inferno e la disperazione. Restavo fermo davanti a te mentre mi chiedevi di ruggire ancora, come il mare quel giorno.
Non sappiamo nemmeno quale forza abbia tenuto il nostro cuore in pugno affinché smettesse di battere più forte; la tua era forse solo rabbia, forse stanchezza.
Avrei lasciato le mie mani andare sul tuo corpo per ritrovare ancora il tuo seno. Ma rimanevo lì immobile e guardavo le tue mani che si trasformavano in mazze ferrate e mi colpivano forte sul petto; poi il pianto rallentava come i tuoi colpi, fino a spegnersi tra i singhiozzi. Mi facevano più male le tue lacrime che ogni colpo ricevuto.

Stavo lì, con le spalle al muro, mentre sparivi dietro l’angolo lasciando solo la scia del nostro tempo.

Non trovavo la forza di andarmene, di lasciare anche quell’ultimo posto dove sapevo avresti potuto trovarmi. Forse gli occhi si bagnarono per la pioggia, ma venne la notte a nascondere la mia fuga.

Ritorno ancora qui per cercare il suono di un perché. Forse coglierò il giorno nel quale anche tu avrai bisogno di risposte e ti vedrò accarezzare quel muro nudo e pietoso che ha accolto la mia pena.

Sai amore mio, io non sono mai andato via da quel muro: quando si muore non si va più via da nessun posto.

09 ottobre 2008

Centocinquanta passi


Anche quando sarò rimasto solo,
dentro al buio totale, sommerso da verità nascoste,
con la bocca cucita dalle responsabilità,
anche allora avrò voglia di cercare qualcuno
che sappia leggere sotto le parole.
E lo sai, non alzerò il dito per indicare chi è cieco, chi è sordo, chi è muto.
Mi siederò ed aspetterò.
Le attese portano più lontano di qualunque fuga,
ed in ogni caso lasciano il tempo per respirare
e riconoscere gli occhi del predestinato.
Ho contato i passi per arrivare alla solitudine, pochi ancora.
Centocinquanta passi per arrivare al mare:
lì ho nascosto le mie parole,
confuse tra i tuoi dubbi e i tuoi sogni,
dove una donna antica
ti ha trovata bambina
e ti ha parlato dell'amore.



05 ottobre 2008

L'anima del carnefice


Nelle avenidas i cingoli dei carri armati avevano lasciato le stesse cicatrici che avevano i martiri sulla pelle. Segni profondi, palpabili, pronti alla vendetta.

Incontrare i boia per strada non era cosa rara, anzi, incontrare chi aveva ucciso il tuo futuro era cosa comune.

Nel dehor di un cafè, quell'uomo dagli occhi azzurri come il mare, racchiusi in piccole fessure sopra un viso bonario, quasi gentile, le mani lunghe e affusolate come quelle di un pianista o di un chirurgo, dai gesti misurati e precisi, mi aspettava. Quelle mani che prendevano un bicchiere di Cabernet Sauvignon cileno e lo portavano alle labbra con solenne lentezza, con la consapevolezza di quello che sarebbe stato il gusto al palato, il sentirne gli aromi e le fragranze.

Un uomo così, che sapeva dare un valore alle cose terrene, che sapeva apprezzare a fondo le cose buone della vita, si apprestava a raccontarmi quello che era stato il suo “impiego” negli anni passati, con la tranquillità di chi racconta le sue vacanze estive a Vigna del Mar.
Otto ore di lavoro sulla carne di persone per lui senza nome, senza età, senza sesso, senza volto, senza storia. Pezzi di carne da fare urlare, da sfinire, da rendere morbida, da piegare.

Si godeva il sole mentre raccontava senza enfasi e accanimento la sua storia. Guardavo la sua bocca e ad ogni parola sembrava uscissero pezzi di carne, sangue, urla.
E gli sovvenne il nome di uno degli ospiti del garage, così chiamava il suo posto di lavoro, perché lo aveva “incontrato” il giorno del compleanno di uno dei suoi bambini. Ne aveva tre, e così quel giorno, prima di prendere servizio gli aveva comprato uno di quei giochi di costruzioni a mattoncini colorati e mi disse che lui non voleva che i suoi figli giocassero con le solite armi giocattolo perché erano diseducative, insegnavano la violenza.
Il racconto si dipanava in modo fluido, senza interruzioni, con dovizia di particolari e senza mai crogiolarsi nel compiacimento.
Gli domandai perché mai raccontasse queste cose a me e perché si fidasse di me.
Sorrise con quei suoi denti disordinati ma bianchissimi e si avvicino così vicino al mio viso che potei sentire il suo alito che sapeva di vino e mi disse : “Non lo so. Certe cose si fanno e basta.”
Poi si rimise rilassato sulla sedia e aggiunse che forse aveva scelto me perché ero straniero o forse perché i poeti hanno sublimato la morte nelle poesia e lì trovano le loro risposte alla vita. Un carnefice invece è condannato a cercare le sue risposte dentro agli altri.
Aveva una teoria secondo la quale un boia cerca nella vittima predestinata il senso della vita e che solo guardando in faccia la disperazione di chi muore si riesca a capire quale sia l’essenza di un uomo. Rimasi immobile ad ascoltare quello che mi sembrava un delirio di onnipotenza. Poi dalla tasca tirò fuori un malloppo di carte tenute insieme da un grosso elastico e me lo consegno in mano.
Mi disse che era il suo testamento e che avrei potuto leggerlo appena si fosse alzato da quella sedia.
Impercettibilmente il suo viso si fece più rilassato, quasi sereno. Mando giù l’ultimo sorso del suo cabernet, lasciò una banconota sotto il bicchiere, mi fece un sorriso e senza dire nulla se ne andò. Mi alzai anche io, con quel malloppo di carte in mano e con un senso di dolore e nausea profondi. Presi la sua stessa direzione, mescolato tra la folla del mezzogiorno nell’Avenida Central, e non potei fare a meno di seguirlo per un po’ di tempo ancora. Non ricordo per quanto tempo, ma ad un certo punto, prima di infilarsi in un vicolo laterale, si fermò e voltandosi, da lontano mi sorrise:. Poi sparì dietro l’angolo.

Il suo “testamento” non lasciava nulla a nessuno, non confessava nessun delitto, non raccontava nessuna storia, non chiedeva nessun perdono. Era solo la raccolta manoscritta di centinaia di poesie; poesie di straordinaria bellezza, scritte da un’anima eletta e pura. Poesie d’amore e di vita.

Passai ore a leggerle dimenticando quale mano avesse mai scritto quei pezzi di carta, e quale anima li avesse concepiti.

Nell’ultima pagina di quel “testamento” trovai scritta la frase: “La ricerca è finita. La morte ha liberato il poeta. Ora il poeta libererà la morte”.
Pensai alle due anime che avevano vissuto in quell’uomo specularmente, in un inspiegabile simbiosi, in un tragico e armonico conflitto interiore.
L’orrore scese dentro al mio cuore.
Il fuoco fece giustizia di tanta inutile bellezza, di tanta terribile purezza.

Tutte quelle straordinarie poesie portavano la data a piè di pagina e tutte erano state scritte negli ultimi due anni prima della sua morte in quel vicolo, con un colpo di pistola alla nuca.

Capita a volte


Capita a volte di pensare che la felicità ti sia passata accanto senza riuscire a dirle nulla. E così lei se ne va' via, lasciandoti con le mani vuote e l'amaro in bocca, senza più girarsi indietro..
Capita a volte che tu ti renda conto di essere rimasto indietro nella vita, senza la tua felicità.
E allora pensi sia giunto il momento di rinunciare alla felicità e di sognare, il momento di rendersi conto che il sogno e la vita sono forse la stessa cosa ma che dalla vita non ti potrai mai più risvegliare.
Capita a volte che in quel lungo sogno qualcuno dimentichi chi sei, staccando il passato dal suo cuore e dalla sua mente come croste di intonaco da un vecchio muro. E sei polvere nel vento.
Capita a volte.
E allora a che serve amare ancora?

03 ottobre 2008

Ogni mattina


Sento le cose addosso, come se piovesse.
Disturbano la vita, modificano il mio essere, cambiano il mio pensiero, rendono diverso il destino.
Incontro persone che non riesco a capire: le accetto come se fossero il vento, come se fossero il dolore.
Vorrei dormire con accanto il tuo amore, potendo sognare di toccare il tuo seno, accarezzando il tuo desiderio. Ho avuto un amore per ogni mese, un dolore per ogni notte.
Ho mani così taglienti da non poter più stringere le tue, ho gli occhi cosi infuocati da non poterti più vedere nemmeno nelle lacrime.
Ogni mattina ritorna il dolore, così lento da sembrare un bacio, così freddo da uccidere il mio giorno.
Guardavi la mia mano, sentivi il mare dentro alla mia voce; dovevo andare senza dire più nulla, rinnegando il mio amore.
Era l'ultimo momento di verità.

30 settembre 2008

L'attesa


A che serve avere nelle mani i suoni giusti, precisi e determinati del pensiero se manca la forza di lasciare il segno sulla vita.
Le parole muoiono ogni giorno, affogate dentro i malintesi, incarnite dentro l'ipocrisia delle verità che compriamo per arrivare a domani.
Leggera, mi servirebbe una vita più leggera, fatta di occhi meno severi, cuori pronti all'emozione, suoni limpidi.
Colleziono dita puntate su di me, scrivo inutili cose per solcare sterili campi, raccolgo frutti acerbi per sfamare il mio orgoglio, dimentico le altrui promesse per non ricordare le mie, calpesto i fiori credendo siano di ferro, dormo del sonno altri per rubare i loro sogni.
E così inutile scrivere ancora verità se nessuno vuole leggerle. Dimmi solo se rimani, dimmi se ancora ho spento il sole.

29 settembre 2008

Me ne starò qui


Che cosa dovrei aspettare? Il confessore è in chiesa, vestito di nero, dentro e fuori. Ad ogni angolo incontro qualcuno che mi consegna un manuale d'uso della mia vita, la garanzia e la scadenza del contratto. Ho solo il tempo per dire che mi serve un respiro per salire sulle scale di un patibolo che ha costruito a tempo di record. Mi spiace non sono come mi vorreste: non ho una bandiera, non ho un inno che suona bene alle partite di calcio, non ho la bocca giusta per dire le cose che volete. Sapete, credo di non avere nemmeno le lacrime abbastanza salate da poterci condire i vostri dolori. Me ne starò qui, aspettando di accarezzare un attimo. Amare è una parola che si allontana. Me ne starò qui aspettando di ricordare come sono i mattini dopo aver fatto l'amore con te. Me ne starò ancora qui, senza sapere se esisti, senza sapere il tuo nome.
Me ne starò qui, ad aspettare che ti accorga del mio amore.

25 settembre 2008

Errori nascosti


Quanti abbandoni nella vita può sopportare un cuore?
Resta solo l'arte, che raccoglie frammenti, ricompone le immagini, appoggia i colori.
Quale giorno avremo a disposizione per trovare tutti i sorrisi lasciati dietro agli angoli della nostra superficialità, del nostro rigore morale, che ha comprato anche il nostro desiderio di giocare?

Manca sempre il coraggio incosciente del bambino che scende giù per la discesa con la bicicletta senza freni, con l’allegra paura della caduta.

Troppo attenti alle note che non riconosciamo, che non suonano com’è scritto nel nostro pentagramma, troppo affilati i perdoni per non sembrare dei prestiti a scadenza.

Resta solo l’arte, che ancora vive dentro muri solidi e convenzioni universali perché libere, e che riesce a farci ridere di tutto il mondo e a chiudere gli occhi per qualche momento sugli inganni della realtà.

Rovesciano il mondo per cercare di leggerlo ognuno con il proprio alfabeto. Presto lasceranno che la nostra terra si trasformi in fuoco e dolore.

Ma almeno tu, che mi passi accanto, gioca con me, non pensare alla bocca del lupo quando è un bacio.


22 settembre 2008

Prima di chiudere gli occhi


Ho preparato i sogni. Vado a dormire sempre più tardi, dopo aver ascoltato la solita musica, quella adatta alla mia anima. Non ho un'anima, un'anima stabile da ritrovare e riconoscere; è un'anima che muta, e vaga dentro  all'emozioni, tra un suono e una parola.
Preparo i sogni per non disperdere inutilmente la notte dentro ad incubi che ricordano troppo la vita.
Ti ho scritto anche stanotte; scrivo sempre le solite cose che nessuno capisce, nemmeno tu.
Scrivevo lettere da ogni lato della terra, da ogni punto del tempo, da ogni guerra e da ogni pace mancata credendo di essere nel posto giusto con la verità dentro una valigia ventiquattr'ore. Non tornavo mai e nessuno mi aspettava mai.
Il mio tempo è stato troppo pieno di appunti in ogni istante del giorno da farmi rinunciare alla vita.
Forse basterà solo un cenno da lontano, nel momento dello sguardo, l'ascoltare una voce, il socchiudere gli occhi.
Basterà un attimo senza doversi voltare, per sentire la libertà soffiarmi sul viso..

21 settembre 2008

Perchè non è mai finita


C'è gente che si ostina a non voler restare lontana da me. Fare terra bruciata intorno non serve a nulla, hanno il bastone da rabdomante.
I citofoni hanno nomi sempre diversi, le abitudini sono un lusso impensabile. Loro erano abituati a chiamarmi con un fischio, come un cane, ed ora non si rassegnano ad averlo perduto nel bosco. Hanno accarezzato la mia testa per troppo tempo per pensare che possa essere libero. Ma certi boschi sono sicuri solo se li frequenti; è come andare a vendere la propria testa al boia: non si accorgerà nemmeno se è la testa che dovrà tagliare è quella sbagliata.
Non vogliono perdere, non conoscono rassegnazione.

Ho sempre le tasche pesanti, con messaggi pronti da consegnare ad ogni angolo. Le situazioni diventano ricorrenti, si mordono la coda , mi trascinano dentro mulinelli ingordi.

C'è gente che ha ancora voglia di pensare a me come se fossi vivo. Lo sanno che sono morto da un pezzo, lo sanno che non tornerò. Il rancore è più forte di un uomo, è più forte di ogni cosa.
Qualcosa danzerà sul mio stomaco, insieme alla malinconia, insieme alle cambiali in scadenza della vita, quando incontrerò il mio nome che mi spaccherà il cuore.
E sarà ancora il marmo a raccontare una vita.

Canta per me

Canta per me,
ascolto solo te.
Canta il tuo silenzio,
urlami dentro la tua rabbia
quando sarai sola e libera
e troverai un posto anche per me.
Canta per me quando
saprai le parole da dare alla rinuncia.
Canta per me guardando la notte,
parlando all'ultima stella del mattino
che sparisce dentro i miei occhi.
Canta per me se non ricordi il mio nome,
io saprò riconoscere la tua voce.
Canta per me,
ho solo te.

18 settembre 2008

O si pensa o si vive


Le derive delle emozioni diventano incontrollabili, portano i pensieri dentro insenature sempre più anguste e soffocano la ragione.

Ma poi l'errore è sempre quello: anteporre la ragione alla passione, essere pronti a morire nella sterile terra di una matematica dell'amore che ha meno senso della follia stessa dell'amore.
Di quale purezza è fatto un diamante se non quella del caso, della persecuzione dell'obbiettivo naturale, del giusto respiro senza calcolo della creazione che ha sempre un connotato straordinario e splendente. Un diamante si crea e brilla nella più completa inconsapevolezza della sua creazione, senza ragione; come tutte le cose rare è un’eccezione.


Amore e ragione vivono nell'antitesi, si soffocano e si disprezzano, cercano compromessi nell'attesa della sopraffazione reciproca, pronti a dimostrare le loro teorie bizantine non appena uno dei due cede e soccombe. La solerzia della ragione sta nella comoda presenza di tutto ciò che è acquisito, nella paura dell'ignoto, nella facilità del non rischiare mai molto, meno che mai l'orgoglio; moneta scomoda l’orgoglio, che appartiene all'amore, che solo chi ha nervi saldi e cuore grande può arrivare a spendere; è moneta per pochi eletti.

La ragione è la madre dei rimpianti, l’amore dei rimorsi. La ragione chiude la porta ai ricordi; l’amore li accoglie nella sua casa per sempre. La ragione non coltiva nessun frutto nel nostro giardino; l’amore lo rende rigoglioso, ricco e profumato. La ragione segue una strada segnata da rotaie e costringe il cuore a viaggiare su un binario morto; la ragione si muove a piccoli passi; l’amore ha ali così grandi che vola sopra ogni cosa e il cuore non conosce frontiere.

I pensieri sono melma e paludi nelle quali affonda la vita; i pensieri, i figli prediletti della ragione sommergono la vita. La vita, la madre dell’amore, griderà per sempre dentro alla prigione dei pensieri.

O si pensa o si vive.

La misura del tempo


Sei qui.
Ti aspettavo. il tempo non passa mai quando attendi. Ma ormai il tempo non ha più una misura: passa e si confonde con quello che deve ancora arrivare, diventa un magma indefinito, uniforme, che allontana dalle emozioni.
Non ho dato un nome al tempo e tu non sei mai andata via o non ci sei mai stata. Ma ho raccolto l'ultimo fiore del prato e piangerò per non averlo guardato ancora una volta.
Non ci sono suoni che assomigliano alle tue parole fruscianti e lucide che hanno attraversato ogni ragione, hanno piegato ogni dolore.
Va' via. Portati via, portati lontano da me se sono il tuo carnefice, se il mio amore è un delitto; portati lontano dalle mie mani che sanno accarezzarti, ascoltare la tua pelle.
Ucciderò il tempo per noi; ti regalerò un istante se lo saprai volere: non chiudere gli occhi.